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Con tutto il proprio handicap,

alla sequela di Cristo

Il senso di una vita e di una scelta



Ci sono persone, che di fronte al proprio handicap si arrendono, mentre altre nelle stesse condizioni, non si arrendono e cominciano a convivere con il proprio handicap e man mano che crescono imparano a lottare per gli ideali in cui credono; e qui è più di un ideale è una vocazione. La vocazione di seguire Cristo in castità, povertà e obbedienza. Per cui trent’anni fa Maria Grazia, ragazza in carrozzina chiese all’istituto secolare piccole apostole della carità(fondato dal beato Don Luigi Monza nel 1937

LE PICCOLE APOSTOLE DELLA CARITA'

L’Istituto Secolare delle Piccole Apostole della carità nasce nel 1937, per dono dello Spirito, dall’esperienza sacerdotale di don Luigi Monza, parroco della diocesi di Milano.
Le piccole Apostole della carità si pongono, per vocazione, alla sequela di Gesù Cristo, per essere nel mondo "come gli Apostoli con la carità pratica dei primi cristiani, per far assaporare la spiritualità del Vangelo e far gustare la gioia di vivere fratelli in Cristo". (don Luigi Monza)
Esse radicalizzano la consacrazione battesimale, impegnandosi a vivere i consigli evangelici. Non si distinguono dagli altri uomini per l’abito, la professione; vivono la vita di tutti i giorni condividendone la storia nel suo quotidiano svolgersi; come nell’incarnazione Gesù ha assunto l’umanità in tutto il suo spessore, così esse si sentono solidali alla terra con gli uomini del proprio tempo.

Il loro orizzonte apostolico è perciò il mondo;

il fine della loro esistenza donata, la carità "portata fino agli ultimi confini della terra";

la regola di vita, quella del "chicco" evangelico "che muore per dare la vita";

il clima in cui vivono, la gioia perché il loro segreto è la preghiera.

Le piccole Apostole della carità svolgono la loro professione e il loro servizio apostolico in vari ambiti:

  • sono attive nel mondo operaio, nella scuola, negli ospedali, nel sindacato, negli uffici, nella politica.

  • realizzano uno specifico servizio alla vita, alla sua tutela e cura attraverso "La Nostra Famiglia" in attività di:

    • riabilitazione delle persone disabili in varie regioni d’Italia e nei Paesi in via di sviluppo (per ora in Sudan, Brasile e Ecuador);

    • ricerca e studio continuo delle problematiche mediche e psicoeducative delle varie disabilità nell’Istituto Scientifico "E. Medea" di Bosisio Parini (Lecco);

    • accoglienza di bambini con grave disagio familiare in attesa di affido o adozione, bambini e adolescenti soli o con disagio socio-ambientale in piccole comunità o in nuclei di tipo familiare.

  • hanno particolare cura e attenzione nei confronti dei giovani e delle famiglie, partecipano ad organismi ed associazioni parrocchiali e diocesane collaborando alle attività pastorali di catechesi, liturgia, carità.

  • attraverso l’Organismo di Volontariato per la Cooperazione Internazionale (OVCI - La Nostra Famiglia) realizzano iniziative tese allo sviluppo della promozione umana, sociale, tecnica e sanitaria dei popoli dei Paesi in via di sviluppo e collaborano alla missione di evangelizzazione della Chiesa.

Visita il sito dell’Istituto Secolare delle Piccole Apostole della Carità www.ispac.it)

di poter entrare nel loro ordine per essere anche lei alla sequela di Cristo. Ma per 30 anni l’istituto ha resistito alla richiesta, ma alla fine si è convinta della vocazione di Maria Grazia e nel 2001 a Sant’Ilario di Nerviano in provincia di Milano è stato aperto il roveto, una casa senza barriere, dove ospita quattro ragazze in carrozzina affette da tetra paresi spastica più due consorelle che hanno deciso di intraprendere questa vocazione. Esse sono: Maria Grazia, Laura, Nunzia e Francesca. Ognuna di loro ha voluto spiegare in un libretto che qui riporto fedelmente pubblicato da loro e su autorizzazione della loro superiora, il senso e il motivo di questa scelta.

Scrive Laura Galasso:

Forse, nel pensiero comune, si pensa che i disabili abbiano un modo tutto diverso, rispetto a chi non lo è, di porsi nei confronti della vita e delle scelte che essa comporta. In parte ciò è vero, perché se per chi è abile il fare un’azione qualunque, come il camminare, il bere, il mangiare e eccetera, non costituisce un problema, per chi, invece a un handicap e vive con l’impossibilità di compiere le medesime azioni in mo “ normale”, questo rappresenta un problema con cui si deve confrontare e tocca l’arco della sua esistenza. Se tutto questo è vero, è altrettanto vero però che ogni persona è unica e affronta la vita a modo suo. Perciò il senso della vita e delle scelte che la persona fa, sia che sia disabile o meno, dipendono da come uno è, da quali valori ha assunto e da come reagisce agli eventi della sua vita. Quando io, che h una tetra paresi spastica-distonica,terminate le scuole magistrali, mi sono chiesta cosa fare nella vita, non ho detto “sono disabile quindi mi è precluso questo è quello”, ma sono rimasta aperta ad ogni possibilità, cioè ho messo al primo posto il mio essere persona e dopo il mio handicap. Un altro, nelle mie condizioni, forse,avrebbe fatto il contrario. Ma anche una persona abile deve confrontarsi con se stessa e con la realtà in cui è immersa per fare le sue scelte. Come ogni persona,il disabile, e in modo più marcato, ha bisogno di un ambiente familiare sociale che favorisca lo sviluppo delle sue possibilità e potenzialità, anche minime. Ci sono però disabili che vivono la vita con rabbia e mettono al primo porto solo i diritti della loro disabilità, altri che sono preoccupati solo dei propri interessi e temono il domani rimandando agli altri le proprie responsabilità, altri ancora che si lasciano vivere piangendosi addosso; ma ci sono anche dei disabili che fanno della loro vita un dono: nelle loro attività, nel matrimonio, se è fattibile, e adesso anche nella vita consacrata. Questo è vero per i disabili fisici, che hanno piena facoltà di decidere di sé. Ma vorrei dire che anche ai disabili mentali, pur avendo gravi olivi difficoltà deve essere difeso la dignità di persona e venire aiutati a vivere una vita degna. L’ambiente in cui una persona, è fondamentale, così anche per me. Ho potuto andare alle scuole superiori perché degli amici di famiglia hanno aiutato i miei genitori a trovare il modo per farmi frequentare, e questo mi ha aperto orizzonti ampi. Le difficoltà c’erano: erano oggettive come gradini per entrare nella scuola, ma erano anche soggettive,mie, come quando dovevo far merenda e mi facevo mille remore perché ho difficoltà a mangiare. Finite le magistrali, io volevo andare all’università ma ciò non è stato possibile: c’era una professoressa che mi aveva preso a cuore e voleva che io andassi avanti con gli studi ma, a causa di un’operazione per togliere per togliere una ciste dietro la testa, la cara professoressa, è morta. Che fare? I miei sogni si erano infranti. Può capitare a chiunque il progettare una cosa e per cause esterne vedere andare tutto in fumo. C’è voluto più di un anno prima che la mia scelta andasse su ciò che mi avevano proposto le assistenti sociali: il corso di computer al Don Gnocchi di Milano. Una scelta indotta ho un’opportunità presa quasi al volo? Pensa tutte due le cose. Dal corso sono uscita col massimo dei voti e anche con più autonomia nel gestire le mie cose, infatti, sono stato otto mesi che andava a casa solo il fine settimana. Grazia a questo corso o potuto anche lavorare. Nel frattempo però, Qualcuno mi aveva già scelto,1 scelta che richiedeva la mia risposta ma senza obbligarmi. Solo nel rispondere di sì al Signore ho trovato piena libertà. È vero che a volte le situazioni si susseguono senza tregua , e magari ti trovi a fare delle scelte quasi obbligate, ma davanti al Signore si è liberi, si è se stessi, e tu puoi accogliere il suo Amore o rifiutarlo. Io l’ho accolto e questo mi ha portato a far parte dell’istituto secolare delle Piccole Apostole della Carità. Il cammino non è stato facile. All’inizio c’era il problema di come concretizzare questa vocazione: ricordo le discussioni che facevo,con chi mi seguiva nel cammino, sulla possibilità che un disabile si consacrasse. Poi, quando si è trovato una casa senza barriere architettoniche, dove vivere la chiamata del Signore, ho dovuto superare nuove difficoltà: il distacco dalla famiglia l’abituarmi a un nuovo stile di vita, il creare nuovi rapporti, l’accogliere un modo diverso di aiutarmi nelle difficoltà del mio handicap. Questo è stato faticoso ma mi ha permesso di confermare la mia scelta di essere del Signore. Nella mia comunità ora abito con altre cinque sorelle, disabili e no e insieme cerchiamo di vivere la carità dei primi cristiani, il volersi bene, e testimoniare così, alle persone che ci incontrano, che è bello vivere nell’amore. L’amore, la realizzazione di sé, la gioia, tutti li cercano in modi diversi, io li ho trovati, li ho intravisti in Dio, e il cercare il Suo Amore e scoprirlo sempre più nella mia vita, il viverlo nel rapporto con gli altri, questo dà senso a tutta la mia esistenza.



Scrive Nunzia Loschiavo

Innanzi tutto, con tanta semplicità e stima, ringrazio molto la persona che mi ha invitata e coinvolta, a scrivere e a parlare, sul senso della mia vita, della scelta e della realizzazione di sé, come persona disabile. Credo e spero, di riuscire a sviluppare questo tema, con la spontaneità e serenità. Ripensando un po’ alla mia adolescenza, rifletto su come sono riuscita ad accettare la mia disabilità, ma soprattutto, come ha deciso di dare senso alla mia vita. Ricordo perfettamente, e c’è stato un periodo non tanto bello e nemmeno facile, in cui non riuscivo ad accettarmi, così come sono. A un certo punto della mia vita, mi sono ribellata, mi sentivo arrabbiata, anche con Dio, perché non camminavo. Non riuscivo ad accettarlo, perché desideravo essere indipendente fare la vita come tutti gli altri miei coetanei. Ma man mano che crescevo nella mia adolescenza, ho accettato, lentamente, la mia disabilità. Ragionando e lavorando, con il mio pensiero, ho riflettuto a lungo su alcune domande e risposte che mi facevano spesso sulle mie difficoltà motorie, di linguaggio e sulla mia personalità. Le domande le risposte, sono state semplicissime, ma importanti. Perché non cammino? Perché non sono autonoma come una persona normale?perché devo aspettare gli altri, per riuscire a realizzare ciò che desidero? E altre ancora. Diventando sempre più adulta, e consapevole della mia disabilità, ho cercato di affrontarla e di accettarla con più coraggio e serenità, fino ad accettarla completamente. Da quel momento, ho capito che potevo vivere come una persona normale, nonostante i miei limiti, perché, grazie a Dio, potevo contare sull’aiuto della mia famiglia che aveva accanto e mi voleva bene, come a tutt’oggi mi dimostra nonostante viva lontano da me. Infatti, mediante la loro disponibilità, pazienza, nel venire incontro alle mie necessità, apprezzavo sempre di più la loro sensibilità nel volermi aiutare. Passando gli anni, desideravo concretizzare il mio amore per la vita, dando un senso ad essa. Di questa sicurezza che ho sempre avuto dentro di me, ringrazio il Signore, che mi ha fatto conoscere, fin da piccola l’istituto “La Nostra Famiglia”, che ho frequentato fin da piccola a me molto cara e lo sarà sempre, come una seconda casa. Infatti, le Piccole Apostole e gli operatori, oltre ad assistermi e aiutarmi concretamente per quanto riguardava la scuola e la ginnastica e per i miei progressi nel linguaggio, con tanto amore e sensibilità mi hanno trasmesso il grande dono della fede e il carisma del beato Luigi Monza, insieme a tanti amici che ho conosciuto nei diversi anni, che mi hanno incoraggiato a proseguire, convinta, con serenità, nella mia scelta di vita e che sento tuttora vicini. Il loro prezioso esempio ha sicuramente contribuito ad aiutarmi nella mia determinazione nel voler essere, con l’aiuto del Signore, Piccola Apostola della Carità. Per me, è un dono grande che ha fatto il Signore alla mia vita, nonostante la mia disabilità, la sofferenza fisica e morale che ho vissuto. È proprio vero, che il Signore non guarda all’apparenza, ma guarda il cuore e parla al cuore. Questo è il vero motivo, per il quale, dopo un cammino ben preciso, mi trovo in comunità a S. Ilario, dove vivo da sette anni circa. In questa comunità, mi sento veramente realizzata, perché, oltre a pregare a meditare, nonostante la mia disabilità che non è lieve, mi rendo disponibile per gli altri, in particolare per le mie sorelle quando hanno bisogno e con l’aiuto del personale che ci segue, riesco ad essere sempre autonoma. Davvero, ringrazio il Signore di avermi chiamata alla Sua sequela, come consacrata, dimostrandomi che Lui non guarda le mie difficoltà ma anzi attraverso di esse, mi chiede di essere segno di speranza, per chi non ha ancora trovato il senso della propria vita. È bello, poter aiutare, forse di più con la preghiera che con l’azione vera e propria. Infatti, il nostro beato Don Luigi Monza dice: “ chi può dia, chi non può preghi”. Anche alle persone che ci incontrano o che ci vengono a trovare, desideriamo di trasmettere sempre di più questo insegnamento di Don Luigi:



La santità non consiste nel fare cose straordinarie, ma nel fare straordinariamente bene le cose ordinarie.



Non crediamo che il Signore pretenda cose grandi da noi; Egli si accontenta della buona intenzione e della buona volontà, sopra tutto nelle cose piccole e nascoste”.



Scrive Maria Grazia Micheli

Attraverso queste righe tenta di spiegare come sono riuscita a dare un senso alla mia vita di disabile, come sono giunta a fare delle scelte nella mia vita e come, ora, mi sento realizzata. Ripensando alla mia infanzia, alla mia adolescenza e alla mia giovinezza, posso affermare con gioia e con ammirazione che i miei familiari, soprattutto la zia che mi ha cresciuta, non si sono arrestati di fronte ai miei limiti fisici, ma sono andati oltre. Quando ero piccola i miei genitori, come farebbero tutti genitori, hanno tentato tutti i mezzi per permettermi di camminare con le mie gambe. Col passare del tempo la loro speranza è sfumata, perché a quei tempi la mia patologia non era conosciuta. Nonostante ciò, non ebbero, con me,1 atteggiamento troppo protettivo e nemmeno troppo possessivo, ma mi trattarono sempre come una persona normale, così valorizzavano tutte le mie potenzialità. La mia adolescenza è stata il periodo più brutto e più sofferto della mia vita, perché cominciai a prendere coscienza delle mie reali condizioni fisiche. Perciò, quegli anni li ho vissuti da arrabbiata, tormentata da interrogativi senza risposta. Poi, ho incontrato una carissima amica che con molta delicatezza e discrezione, insieme alla sua preziosa amicizia mi ha offerto l’opportunità di conoscere e approfondire la Parola di Dio . Così, senza volerlo mi sono trovata di fronte a un bivio, dovevo scegliere il mio stile di vita: o continuare a vivere da arrabbiata rifiutando la mia disabilità, oppure, avventurarmi nel tentativo di vivere come la Parola di Dio mi suggeriva ogni giorno. Alla fine scelsi la strada più difficile e più faticosa, ma quella che ha dato una risposta ai miei interrogativi. Così iniziai il mio cammino di fede, misteriosamente compresi che la mia vita poteva avere un senso, anche in queste condizioni e percepivo che Dio aveva un progetto ben preciso su di me. Con la grazia del Signore e l’aiuto di diverse persone scaturì dentro di me questa consapevolezza. Se non ci fosse stato Gesù, Figlio di Dio, con la Sua Passione, con la Sua Morte e Risurrezione che senso avrebbe la mia vita? Solo alla luce della Risurrezione, il dolore, la sofferenza, la fatica e tutto ciò che è negativo assumono un altro significato, perché Gesù donando la Sua vita per la nostra salvezza ha capovolto la logica umana. Perciò, cominciai a vivere la vita come un “dono “. Certamente, agli occhi umani il mio corpo richiama la croce e la sofferenza, ma, pur con tutte le mie debolezze cerco di vivere la gioia della Risurrezione. Con questa certezza ho vissuto una giovinezza serena, anche se a quei tempi l’inserimento di un disabile nella società era come se fosse un’utopia. Perciò, ho dovuto lottare parecchio per crearmi una vita più normale possibile, con la mia determinazione e incoraggiata da molti, o superato ogni ostacolo. Grazie alla fiducia che la zia mi dava, o potuto avere la libertà di cominciare, ad uscire dalla cerchia familiare, ad avere diverse amicizie e a fare delle scelte. Infatti, con l’appoggio di molte persone generose, ho deciso di studiare fino a conseguire il diploma in lingue straniere, francese e inglese. Allora, non era previsto l’inserimento nella scuola delle persone in difficoltà, perciò, fu, per me, una grande conquista riuscire a studiare, anche se mi è stato impossibile continuare come desideravo. La mia vita. Un susseguirsi di scelte positive e negative, ogni scelta mi è servita per non ripiegarmi con me stessa, ma a proiettare lo sguardo su chi era meno fortunato di me. Quindi, potevo ritenermi soddisfatta perché, nonostante le mie difficoltà, ero giunta a condurre una vita come tutti. Eppure, non mi sentivo pienamente realizzata, anche se potevo essere contenta. In cominciai a sentire dentro di me che il Signore mi chiedeva qualcosa di più profondo e di più radicale, cioè la vita. Di fronte a questa misteriosa voce interiore ho avuto dei momenti di crisi e di incertezze, perché non riuscivo a comprendere come nelle mie condizioni fisiche potevo rispondere a quella misteriosa voce. Alla fine compresi che erano due realtà che si completavano, l’una non poteva sussistere senza l’altra. Per concretizzare la chiamata del Signore ho lottato, sofferto, perché quasi tutti rimanevano sorpresi e perplessi che, io, disabile volessi consacrarmi al Signore. Fortunatamente ho incontrato delle persone che hanno saputo andare oltre il mio handicap e hanno creduto alla mia vocazione, perciò, ora sono consacrate al Signore come Piccola Apostola della Carità. La vita fraterna con le mie sorelle di comunità, mi stimola a dare il massimo di me stessa, perciò mi sento valorizzato è accettata per quella che sono. La comunità è una palestra educativa, perciò mi aiuta a riconoscere le mie mancanze e le mie debolezze, in modo che possa cercare di correggermi e poter vivere sempre più coerentemente lo spirito di carità. Con questo spirito, si riesce a creare fra di noi un clima di famiglia, aiutandoci reciprocamente nei bisogni più immediati e sostenendoci nei momenti di maggior fatica. Inoltre, ho modo di relazionarmi con diverse persone! Anche questo è un modo per non chiudere in me stessa, ma per essere aperta al dialogo e alla condivisione. Volendo fare un bilancio della mia vita, alla soglia della terza età, con gioia posso dire di aver vissuto la mia vita in pienezza, perché l’ho ricevuta come un “dono” da realizzare. Con questa mia esperienza mi permetta di esortare, caldamente, tutti coloro che si trovano nelle mie stesse condizioni, a non vivere una vita passiva, ma lottare per superare le difficoltà ed esultando per le conquiste raggiunte. Esorto, pure, quei genitori che hanno un figlio in difficoltà: “ non fermatevi a piangere su voi stessi e sui vostri figli, ma imparate a guardare sempre avanti, con coraggio e speranza”.



Scrive Francesca Cinquetti

Lo sviluppare un tema così intenso, così profondo, mi dà l’opportunità di interrogarmi, di riflettere su che significato ha il mio vivere, nonostante l’avanzare degli anni e la consapevolezza che i miei limiti fisici e motori , sicuramente, non si fermano, ma, purtroppo, aumentano di giorno in giorno. Partendo dalla certezza, per me, che la vita è sacra, in quanto il dono di Dio e voluto da Lui, che ama in modo unico speciale, ogni persona, in qualsiasi condizione si trovi, mi sento di benedire ringraziare il Signore, per come ha condotto e guidato la mia vita a tutt’oggi, permettendomi di viverla intensamente, accolta, amata e sostenuta, fin dalla nascita, dai miei genitori e da mia sorella che non mi ha mai considerato, con inferiorità, ma forse, alcune volte, pretendendo da me, più di quanto potevo in quel momento dare. Sicuramente, questo atteggiamento, mi ha sempre stimolato a dare il meglio di me e a non ripiegarmi su me stessa. Inoltre, cammin facendo, le varie opportunità avute di studiare regolarmente, lavorare, vivere normalmente in mezzo agli altri, mi hanno permesso di sentirmi più o meno accolta, da chi mi ha conosciuto, nei miei disagi nel muovermi, per i ritmi rallentati nel lavoro , ma mi sono sempre sentita incoraggiata e apprezzata per la mia volontà ferrea, che mi aiutava a tentare di affrontare ogni evidenza e qualsiasi ostacolo, confidando nella Provvidenza di Dio. Questa mia serenità ed entusiasmo di vivere mi hanno facilitato l’incontro di parecchi amici, che con la loro esemplare testimonianza di vita evangelica mi hanno aiutato a crescere nella fede e sicuramente contribuito a comprendere fino in fondo, cosa voleva veramente il Signore da me. Determinante, è stato per me l’incontro con Luigi e Laura Frigoli, Nicola Meazzi e Carlo Lampugnani del Gruppo Amici de “La Nostra Famiglia” di Cremona, mia città natale, che mi hanno invitato a partecipare al pellegrinaggio a Lourdes, nel maggio 1976, organizzato da questa lodevole associazione. Infatti, è merito loro, come strumenti preziosi del Signore, se spiegandomi l’intento dell’Opera, e dopo il mio ritorno, entusiasta, dal coinvolgente pellegrinaggio, è iniziata la radicale svolta della mia vita, essenziale per la scelta di vita. A contatto con lo spirito di abnegazione di Alba Medea ed il sorriso e la gioia “nel dedicarsi a chi aveva problemi come me, considerandolo a proprio pari”, di alcune Piccole Apostole della Carità, incontrate e conosciute personalmente, sono stata aiutata a scoprire e a comprendere che il sentirmi accettata, nella maggior parte delle situazioni vissute, grazie al mio carattere vivace, nonostante, alcune volte, inadeguata fragile incapace ad affrontare certi imprevisti, era dovuto al sostegno tenero, comprensivo e profondo dell’Amore del Signore e della sua Santissima Madre, che mi aveva affidato una precisa missione, proprio alla grotta di Massabielle. Da allora, mi sono sentita prezioso ai Suoi occhi, privilegiata nel poter vivere una vita piena di interessi, consapevole che nulla potevo da sola, che niente mi era dovuto, ma che anzi, tutto è dono e grazia di Dio. Quindi, ho sempre cercato di spendere il mio tempo libero, interessandomi, con passione, dei bisogni, dei disagi di persone, che, spesso, avendo problemi motori, anche più gravi dei miei, non si sono mai accettate, o che comunque, si sono sentite rifiutate, emarginate dai loro stessi familiari. Interessarmi a loro, con il mio affetto, la mia sentita vicinanza, ha dato un significato concreto alla mia vita,1 missione da compiere e trasmettere agli altri. Secondo me, è stato veramente il sentirmi profondamente amata, spesso in modo immeritato, ma gratuito,dal Signore, che mi ha spinto a dedicarmi con gioia e generosità agli altri, perché potessero comprendere, che ognuno di noi, ha diritto di vivere un’esistenza dignitosa, alla pari di tutti gli altri, con gli stessi diritti e gli stessi doveri, svolgendo con responsabilità, un proprio compito, rendendoli consapevoli,che Dio,ci Ama veramente, così come siamo e non fa assolutamente differenze di persone. Cercando di vivere la mia vita, nell’ottica del dono per me stessa e per gli altri, nonostante anch’io abbia dovuto superare non pochi momenti di scoraggiamento, la fiducia nel mio prossimo, nella Provvidenza di Dio, mi hanno spinto, ad abbandonarmi alla Sua Volontà, affidandomi completamente a Lui, donandoGli ciecamente la mia Vita, in segno di infinita gratitudine, per quanto aveva operato di bene, in me, nella mia esistenza. Certa, che come avevo gratuitamente ricevuto, mi sembrava giusto, ricambiare, donando, con gioia, a Lui, la mia vita risorta, ma semplice e povera vita! Infatti, solo la Sua generosa benevolenza e comprensione mi hanno permesso di realizzare la mia vita, nell’appartenere a tutti gli effetti, all’istituto delle Piccole Apostole della Carità, come ho desiderato fortemente per anni. È una gioia grande, poter vivere, condividendo gioie sofferenze di persone, che credono nella nostra presenza al servizio della collettività, con la nostra preghiera, la nostra serenità, disponibili buonasera all’ascolto dei problemi che realmente, nella società in cui viviamo, alcune volte, sembrano insormontabili, per chi viene a trovarci in comunità a Sant’Ilario Milanese. Nonostante le nostre fatiche personali, le nostre debolezze, mettiamo a disposizione, con semplicità, le nostre reciproche risorse, le capacità di ognuna di noi. Con volenterosa disponibilità reciproca, facendoci carico e prendendoci cura, tra noi sorelle, le une delle altre, cerchiamo di prevenire i desideri, le attese e i bisogni di chi ci sta accanto, andando incontro anche a chi e prende cura di noi, cercando di non fare all’altro, ciò, che non vorremmo venisse fatta a noi. È stupendo, poter testimoniare, pur con le nostre debolezze e fragilità, come ci si sente utili, realizzate e contente di vivere l’una per l’altra, dimostrandoci veramente di stare bene insieme, volendoci bene, aiutandoci reciprocamente, cercando di viver “ lo spirito di famiglia e di comunione”, che tanto auspicava il nostro beato lui di Monza, fondatore dell’istituto secolare Piccole Apostole della Carità, per essere segno di speranza, in un mondo, che sembra aver perso la fiducia nei valori, come il rispetto reciproco e l’Amore fraterno. Non è facile perseverare nei buoni propositi e nelle opere di bene, cercando di accontentare più persone possibili. Però, se penso che Dio, mio Creatore e Salvatore , ha lasciato morire in croce, Suo Figlio, Gesù Cristo, per me, per dimostrarmi il Suo vero Amore e per salvarmi in eterno, sono certa, che nessuna deduzione, amarezza, mortificazione, potrà mai farmi desistere dalla scelta di Vita fatta, di cercare di vivere concretamente, la Carità dei primi cristiani. La forza e la pace interiori, che sento accompagnare le mie fatiche quotidiane, mi incitano a perseverare, nello spendermi “senza misura e senza timore”. È importante, allenati a “tacere, lasciar cadere e offrire a Dio”, per il Bene Comune. Penso, possa essere il modo più giusto, per cercare di rendere credibile la mia Vita, secondo il cuore di Dio. Più i giorni passano, comprendo, con una reale responsabilità, che non mi appartiene più, perché voglio con tutta me stessa, che sia Dio, mio Padre Misericordioso, a condurla, secondo ciò, che a Lui piace che faccia, ascoltando e cercando di concretizzare la Sua Parola, nel mio “Fiat Quotidiano”.

Franco e le suore del Roveto

Franco e le suore disabili del Roveto (Ottobre 2008)

Franco e Grazia
Franco e Grazia (Ottobre 2008)