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Disabili e felici

 

di Pierangela Rossi tratto da "Avvenire"  del 2 febbraio 1997

 
Gli handicappati possono essere felici? Così come persone normali sono infelici? Certo. Ma dopo un giro di opinioni siamo più che mai convinti che la domanda andrebbe posta alle singole persone. Del resto, ci sono solo risposte personali, alla domanda: sei felice?
Così, la bambina Alice Sturiale, malata di atrofia muscolare spinale, una vita su una carrozzella, poteva scrivere: “Ma io credo che le quattro ruote servano a conoscere tutta quanta la vita e saperla affrontare e vincere”.
Sono le parole che sceglie, per noi al telefono, il papà di Alice, Leonardo, dal “Libro di Alice”, già best seller dell’editrice Polistampa, e che ora esce da Rizzoli, libro curato dai genitori della bambina fiorentina dopo la sua morte, a 12 anni.
Libro al centro di una piccola polemica , su “Repubblica”, per un’intervista ad una pedagogista, Egle Becchi, che diceva:”quel libro è troppo felice, possibile? Dov’è finita, tra i pensieri di Alice, l’infelicità che dà l’handicap?”.
Dopo questa polemica, un amico di famiglia di Alice, Franco Antonio Mizzi, scrive a quel giornale, ma anche al nostro, una lettera in cui si definisce disabile felice:”Io sono disabile da quando avevo 9 mesi di vita; a causa di una meningite non ho mai camminato, ho 40 anni e da 16 vivo solo in una casa telematizzata, e con questo sono felice” .
Anche da bambino sono stato felice.
“La condizione di disabilità dice Mizzi – non porta necessariamente alla felicità, perché altrimenti molte persone, in queste condizioni si suicidano, si drogano, o vanno a rubare o uccidono?”
Dunque Alice e Mizzi, sono o sono stati felici. E gli altri?
Manuela Peserico, psichiatra e psicoterapeuta che ha lavorato con persone con un handicap, sia fisico che psichico, ci ricorda, se mai lo dimenticassimo, che l’handicap “è una complicazione ma non necessariamente un’infelicità costante. L’importante è come la persona viene cresciuta, se il contesto affettivo non pretende le stesse cose che si pretendono da chi non ha un handicap, ma nello stesso tempo non si sottovaluta un armonico sviluppo: corretto sviluppo e serenità sono legate a non negare la presenza dell’handicap neppure tutto il resto che rimane sano. L’handicap è una parte di una persona, non la globalità”. Se il contesto familiare e sociale sa accettare con serenità la presenza dell’handicap e aiuta la persona a sviluppare capacità collaterali, ecco che la persona può essere più felice di una persona che vive in un contesto che la penalizza. Non escludo che una persona con handicap possa essere felice.
Carlotta Mattiello fa danza terapia con ragazzi down o insufficienti mentali a Milano:”La mia esperienza  dice, è che alcune di queste persone portano un disagio, un’infelicità che non viene necessariamente dall’essere down ma da una depressione che possono avere anche i normali. Ci sono down che non hanno segni di infelicità, hanno una vita normale, si fidanzano, hanno amori, una vita felice” .
Può accadere, spiega, che per far fronte al disagio si esasperi il concetto opposto: momenti di infelicità ci sono comunque, ma può anche accadere di vivere bellissimi momenti che magari ad altre persone possono sfuggire.
Ed è su questo pensiero che insiste il filosofo Sergio Givone. Che ha dedicato una delle sue rubriche per “Avvenire” al Libro di Alice: “Per grazia o miracolosamente l’infelicità quando è accettata, - dice Givone ritornando sull’argomento è l’inizio di uno sguardo più profondo sul mondo, fa vedere ciò che non sapiiamo vedere altrimenti. Solo la sofferenza , la coscienza del limite, è capace di darci il vero senso delle cose. E’ così per la morte , questa cosa orrenda, che non accettiamo, ma è solo in presenza della morte che sappiamo apprezzare la vita i rapporti con gli altri…”.
Alice continua Givone viveva nella gioia perché era passata attraverso la sofferenza. Ha fatto un’alchimia del dolore.
Chiunque di noi ha incontrato malati divorati dalla malattia e altri che hanno trovato il modo di rovesciarla nel suo contrario. Una vita che ignori la sofferenza è una vita ottusa.
Questa è la condizione dell’uomo, ce lo dicono i mistici, la grande letteratura, i romanzi di Dostojevski.
Naturalmente è un discorso che, se accettato, tocca tutti: nessuno pretende di assegnare solo ai disabili, fisici o psichici, il compito di essere felici in forza dell’infermità. Nessuno dice che è facile essere handicappati. Sarebbe disumano. L’importante dice il papà di Alice, Leonardo Sturiale, è sfatare il pregiudizio che un handicappato sia predestinato all’infelicità. Gran parte degli ostacoli per gli handicappati sono costruiti dai normal. Molte persone con un handicap. Afferma,  sono portatrici di una felicità particolare. E’ così che il padre ricorda Alice aveva energia e voglia di vivere, ottimismo, serenità, fede, capacità di affrontare i propri limiti. Ad Alice non mancavano i momenti di tristezza e di sconforto. Ma la felicità non è non avere mai dolori.

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