LA FEDE DESCRITTA DAL
CATECHISMO DI SAN TOMMASO D'AQUINO
Tra tutti i filosofi e
teologi è difficile trovarne uno maggiore di Tommaso d'Aquino
(1225c. Roccasecca Castello di -Frosinone- / 1274 Fossanova
abbazia di) . Nonostante le mode che caratterizzano i secoli, le
apostasie che avvincono di più i popoli ricchi del mondo rispetto ai
più poveri, il pensiero e l'esempio di vita di San Tommaso
rappresentano non solo il meglio della scolastica medioevale, ma
anche uno spazio classico analogo al classicismo dell'estetica
che predilige la chiarezza o forma naturale per esprimersi e farsi
comprendere. Il classico greco-romano e rinascimentale, è insieme
chiaro, misurato, naturale e universale; e proprio per questo
comprensibile o godible da qualsiasi abitante della terra, anche se
non greco, non romano o non italiano. Il pensiero di Tommaso è
dunque, a mio parere, simile a questa chiarezza classica e
universale; è una risplendente cattedrale, la maggiore del medioevo,
ma anche quella dai più solidi fondamenti cristiani e no, di ragione
e di fede insieme.
Non a caso se
Sant'Agostino diceva credo
ut intelligam et intelligo ut credam
(ossia "credo per comprendere e comprendo per credere")
Tommaso esplicita lo stesso concetto, affermando con maggior
chiarezza, che dove la ragione e la filosofia non possono proseguire
per via dei loro limiti, inizia il campo della fede e il lavoro della
teologia; la filosofia usa dunque razionalmente i dati
dell'esperienza; la teologia usa invece i dati della fede; ma fede e
ragione sono entrambe dono di Dio, pertanto non possono contraddirsi
tra loro .
Nel contesto di questo
pensiero che abbiamo definito classico e insieme razionale,
incuriosisce come Tommaso descrisse la Fede. Ebbene una di queste
descrizioni è singolare: la chiamano Catechismo
di San Tommaso (allegato
a questo messaggio), anche se il dottore angelico, forse mai scrisse
un catechismo nel senso tradizionale del termine. Si tratta perciò
di un insieme di riflessioni raccolte, e scrite in date diverse, che
tuttavia descrivono la Fede:
c'è dunque una introduzione, il Commento al Credo
, il Commento al Padre Nostro, il Commento ai Dieci Comandamenti, il Commento all'Ave Maria.
Nell' Introduzione si descrive la Fede in generale e si dice che unisce l'anima a Dio, è
germe di vita eterna perché da una conoscenza di Dio il cui epilogo
in quanto conoscenza, sarà la beatitudine eterna; e inoltre,
permette di vivere più sicuri e con rettitudine. Poi cominciano i
commenti del Credo, del Padre Nostro e del Decalogo e dell'Ave Maria.
Mancano dunque le
grandi disquisizioni filosofiche sulle premesse razionali della Fede,
come ad esempio le cinque prove della esistenza di Dio
[si deduce l'esistenza
di Dio dai seguenti aspetti: 1.Ex
motu ( Dal moto:
tutto ciò che si muove esige una causa prima, perché come dice
Aristotele Non si
può andare all'infinito nella ricerca delle cause )
; 2. Ex
causa (Dalla
causa: se ogni effetto abbisogna di una causa, dovrà esserci anche
una Causa prima, cioè Dio); 3. Ex
contingentia (
Dalla contingenza: tutte le cose esistono nonostante che potrebbero
non esistere; pertanto non avendo in se stesse la ragione della loro
esistenza, rimandano ad un essere necessario, che invece ha tale
ragione) ; 4. Ex
gradu (Dal grado
: avendo le cose vari gradi di perfezione, solo un grado massimo di
perfezione rende possibile gli stadi o perfezioni intermedie) ; 5. Ex
fine (Dal fine:
tutte le cose nell'universo sono ordinate secondo uno scopo; pertanto
deve esserci certamente una Intelligenza che le ha ordinate e le
ordina in tal modo)].
Orlando Metozzi
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VITA DI SAN TOMMASO
D'AQUINO
Da :
http://www.santiebeati.it/Detailed/22550.html
il 6-11-08 :
Beato Angelico.
Crocifissione,
Firenze San Marco, Part. : San Tommaso
Quando papa Giovanni
XXII nel 1323, iscrisse Tommaso d’Aquino nell’Albo dei Santi, a
quanti obiettavano che egli non aveva compiuto grandi prodigi, né in
vita né dopo morto, il papa rispose con una famosa frase: “Quante
preposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece”. E questo,
è il riconoscimento più grande che si potesse dare al grande
teologo e Dottore della Chiesa, che con la sua “Summa teologica”,
diede sistematicamente un fondamento scientifico, filosofico e
teologico alla dottrina cristiana.
Origini,
oblato a Montecassino, studente a Napoli Tommaso,
nacque all’incirca nel 1225 nel castello di Roccasecca (Frosinone)
nel Basso Lazio, che faceva parte del feudo dei conti d’Aquino; il
padre Landolfo, era di origine longobarda e vedovo con tre figli,
aveva sposato in seconde nozze Teodora, napoletana di origine
normanna; dalla loro unione nacquero nove figli, quattro maschi e
cinque femmine, dei quali Tommaso era l’ultimo dei maschi. Secondo
il costume dell’epoca, il bimbo a cinque anni, fu mandato come
“oblato” nell’Abbazia di Montecassino; l’oblatura non
contemplava che il ragazzo, giunto alla maggiore età, diventasse
necessariamente un monaco, ma era semplicemente una preparazione, che
rendeva i candidati idonei a tale scelta. Verso i 14 anni,
Tommaso che si trovava molto bene nell’abbazia, fu costretto a
lasciarla, perché nel 1239 fu occupata militarmente dall’imperatore
Federico II, allora in contrasto con il papa Gregorio IX, e che mandò
via tutti i monaci, tranne otto di origine locale, riducendone così
la funzionalità; l’abate accompagnò personalmente l’adolescente
Tommaso dai genitori, raccomandando loro di farlo studiare presso
l’Università di Napoli, allora sotto la giurisdizione
dell’imperatore. A Napoli frequentò il corso delle Arti
liberali, ed ebbe l’opportunità di conoscere alcuni scritti di
Aristotele, allora proibiti nelle Facoltà ecclesiastiche, intuendone
il grande valore.
Domenicano;
incomprensioni della famiglia Inoltre
conobbe nel vicino convento di San Domenico, i frati Predicatori e ne
restò conquistato per il loro stile di vita e per la loro profonda
predicazione; aveva quasi 20 anni, quando decise di entrare nel 1244
nell’Ordine Domenicano; i suoi superiori intuito il talento del
giovane, decisero di mandarlo a Parigi per completare gli studi.
Intanto i suoi familiari, specie la madre Teodora rimasta vedova,
che sperava in lui per condurre gli affari del casato, rimasero di
stucco per questa scelta; pertanto la castellana di Roccasecca,
chiese all’imperatore che si trovava in Toscana, di dare una scorta
ai figli, che erano allora al suo servizio, affinché questi
potessero bloccare Tommaso, già in viaggio verso Parigi. I
fratelli poterono così fermarlo e riportarlo verso casa, sostando
prima nel castello paterno di Monte San Giovanni, dove Tommaso fu
chiuso in una cella; il sequestro durò complessivamente un anno; i
familiari nel contempo, cercarono in tutti i modi di farlo desistere
da quella scelta, ritenuta non consona alla dignità della casata.
Arrivarono perfino ad introdurre una sera, una bellissima ragazza
nella cella, per tentarlo nella castità; ma Tommaso di solito
pacifico, perse la pazienza e con un tizzone ardente in mano, la fece
fuggire via. La castità del giovane domenicano era proverbiale,
tanto da meritare in seguito il titolo di “Dottore Angelico”. Su
questa situazione i racconti della ‘Vita’, divergono, si dice che
papa Innocenzo IV, informato dai preoccupati Domenicani, chiese
all’imperatore di liberarlo e così tornò a casa; altri dicono che
Tommaso riuscì a fuggire; altri che Tommaso ricondotto a casa della
madre, la quale non riusciva ad accettare che un suo figlio facesse
parte di un Ordine ‘mendicante’, resistette a tutti i tentativi
fatti per distoglierlo, tanto che dopo un po’ anche la sorella
Marotta, passò dalla sua parte e in seguito diventò monaca e
badessa nel monastero di Santa Maria a Capua; infine anche la madre
si convinse, permettendo ai domenicani di far visita al figlio e dopo
un anno di quella situazione. lo lasciò finalmente partire.
Studente a
Colonia con s. Alberto Magno Ritornato
a Napoli, il Superiore Generale, Giovanni il Teutonico, ritenne
opportuno anche questa volta, di trasferirlo all’estero per
approfondire gli studi; dopo una sosta a Roma, Tommaso fu mandato a
Colonia dove insegnava sant’Alberto Magno (1193-1280), domenicano,
filosofo e teologo, vero iniziatore dell’aristotelismo medioevale
nel mondo latino e uomo di cultura enciclopedica. Tommaso divenne
suo discepolo per quasi cinque anni, dal 1248 al 1252; si instaurò
così una feconda convivenza tra due geni della cultura; risale a
questo periodo l’offerta fattagli da papa Innocenzo IV di rivestire
la carica di abate di Montecassino, succedendo al defunto abate
Stefano II, ma Tommaso che nei suoi principi rifuggiva da ogni carica
nella Chiesa, che potesse coinvolgerlo in affari temporali, rifiutò
decisamente, anche perché amava oltremodo restare nell’Ordine
Domenicano. A Colonia per il suo atteggiamento silenzioso, fu
soprannominato dai compagni di studi “il bue muto”, riferendosi
anche alla sua corpulenza; s. Alberto Magno venuto in possesso di
alcuni appunti di Tommaso, su una difficile questione teologica
discussa in una lezione, dopo averli letti, decise di far sostenere
allo studente italiano una disputa, che Tommaso seppe affrontare e
svolgere con intelligenza. Stupito, il Maestro davanti a tutti
esclamò: “Noi lo chiamiamo bue muto, ma egli con la sua dottrina
emetterà un muggito che risuonerà in tutto il mondo”.
Sacerdote;
Insegnante all’Università di Parigi; Dottore in Teologia Nel
1252, da poco ordinato sacerdote, Tommaso d’Aquino, fu indicato dal
suo grande maestro ed estimatore s. Alberto, quale candidato alla
Cattedra di “baccalarius biblicus” all’Università di Parigi,
rispondendo così ad una richiesta del Generale dell’Ordine,
Giovanni di Wildeshauen. Tommaso aveva appena 27 anni e si
ritrovò ad insegnare a Parigi sotto il Maestro Elia Brunet,
preparandosi nel contempo al dottorato in Teologia. Ogni Ordine
religioso aveva diritto a due cattedre, una per gli studenti della
provincia francese e l’altra per quelli di tutte le altre province
europee; Tommaso fu destinato ad essere “maestro degli stranieri”.
Ma la situazione all’Università parigina non era tranquilla in
quel tempo; i professori parigini del clero secolare, erano in lotta
contro i colleghi degli Ordini mendicanti, scientificamente più
preparati, ma considerati degli intrusi nel mondo universitario; e
quando nel 1255-56, Tommaso divenne Dottore in Teologia a 31 anni,
gli scontri fra Domenicani e clero secolare, impedirono che potesse
salire in cattedra per insegnare; in questo periodo Tommaso difese i
diritti degli Ordini religiosi all’insegnamento, con un celebre e
polemico scritto: “Contra impugnantes”; ma furono necessari vari
interventi del papa Alessandro IV, affinché la situazione si
sbloccasse in suo favore. Nell’ottobre 1256 poté tenere la sua
prima lezione, grazie al cancelliere di Notre-Dame, Americo da Veire,
ma passò ancora altro tempo, affinché il professore italiano fosse
formalmente accettato nel Corpo Accademico dell’Università. Già
con il commento alle “Sentenze” di Pietro Lombardo, si era
guadagnato il favore e l’ammirazione degli studenti; l’insegnamento
di Tommaso era nuovo; professore in Sacra Scrittura, organizzava in
modo insolito l’argomento con nuovi metodi di prova, nuovi esempi
per arrivare alla conclusione; egli era uno spirito aperto e libero,
fedele alla dottrina della Chiesa e innovatore allo stesso tempo.
“Già sin d’allora, egli divideva il suo insegnamento secondo
un suo schema fondamentale, che contemplava tutta la creazione, che,
uscita dalle mani di Dio, vi faceva ora ritorno per rituffarsi nel
suo amore” (Enrico Pepe, Martiri e Santi, Città Nuova, 2002). A
Parigi, Tommaso d’Aquino, dietro invito di s. Raimondo di Peñafort,
già Generale dell’Ordine Domenicano, iniziò a scrivere un
trattato teologico, intitolato “Summa contra Gentiles”, per dare
un valido ausilio ai missionari, che si preparavano per predicare in
quei luoghi, dove vi era una forte presenza di ebrei e musulmani.
Il ritorno in
Italia; collaboratore di pontefici All’Università
di Parigi, Tommaso rimase per tre anni; nel 1259 fu richiamato in
Italia dove continuò a predicare ed insegnare, prima a Napoli nel
convento culla della sua vocazione, poi ad Anagni dov’era la curia
pontificia (1259-1261), poi ad Orvieto (1261-1265), dove il papa
Urbano IV fissò la sua residenza dal 1262 al 1264. Il pontefice
si avvalse dell’opera dell’ormai famoso teologo, residente nella
stessa città umbra; Tommaso collaborò così alla compilazione della
“Catena aurea” (commento continuo ai quattro Vangeli) e sempre su
richiesta del papa, impegnato in trattative con la Chiesa Orientale,
Tommaso approfondì la sua conoscenza della teologia greca,
procurandosi le traduzioni in latino dei padri greci e quindi scrisse
un trattato “Contra errores Graecorum”, che per molti secoli
esercitò un influsso positivo nei rapporti ecumenici. Sempre nel
periodo trascorso ad Orvieto, Tommaso ebbe dal papa l’incarico di
scrivere la liturgia e gli inni della festa del Corpus Domini,
istituita l’8 settembre 1264, a seguito del miracolo eucaristico,
avvenuto nella vicina Bolsena nel 1263, quando il sacerdote boemo
Pietro da Praga, che nutriva dubbi sulla transustanziazione, vide
stillare copioso sangue, dall’ostia consacrata che aveva fra le
mani, bagnando il corporale, i lini e il pavimento. Fra gli inni
composti da Tommaso d’Aquino, dove il grande teologo profuse tutto
il suo spirito poetico e mistico, da vero cantore dell’Eucaristia,
c’è il famoso “Pange, lingua, gloriosi Corporis mysterium”, di
cui due strofe inizianti con “Tantum ergo”, si cantano da allora
ogni volta che si impartisce la benedizione col SS. Sacramento. Nel
1265 fu trasferito a Roma, a dirigere lo “Studium generale”
dell’Ordine Domenicano, che aveva sede nel convento di Santa
Sabina; nei circa due anni trascorsi a Roma, Tommaso ebbe il compito
di organizzare i corsi di teologia per gli studenti della Provincia
Romana dei Domenicani.
La
“Summa theologiae”; affiancato da p. Reginaldo A
Roma, si rese conto che non tutti gli allievi erano preparati per un
corso teologico troppo impegnativo, quindi cominciò a scrivere per
loro una “Summa theologiae”, per “presentare le cose che
riguardano la religione cristiana, in un modo che sia adatto
all’istruzione dei principianti”. La grande opera teologica,
che gli darà fama in tutti i secoli successivi, fu divisa in uno
schema a lui caro, in tre parti: la prima tratta di Dio uno e trino e
della “processione di tutte le creature da Lui”; la seconda parla
del “movimento delle creature razionali verso Dio”; la terza
presenta Gesù “che come uomo è la via attraverso cui torniamo a
Dio”. L’opera iniziata a Roma nel 1267 e continuata per ben sette
anni, fu interrotta improvvisamente il 6 dicembre 1273 a Napoli, tre
mesi prima di morire. Intanto Tommaso d’Aquino, per i suoi
continui trasferimenti, non poteva più vivere una vita di comunità,
secondo il carisma di s. Domenico di Guzman e ciò gli procurava
difficoltà; i suoi superiori pensarono allora di affiancargli un
frate di grande valore, sacerdote e lettore in teologia, fra
Reginaldo da Piperno; questi ebbe l’incarico di assisterlo in ogni
necessità, seguendolo ovunque, confessandolo, servendogli la Messa,
ascoltandolo e consigliandolo; in altre parole i due domenicani
vennero a costituire una piccola comunità, dove potevano
quotidianamente confrontarsi. Nel 1267, Tommaso dovette mettersi
di nuovo in viaggio per raggiungere a Viterbo papa Clemente IV, suo
grande amico, che lo volle collaboratore nella nuova residenza
papale; il pontefice lo voleva poi come arcivescovo di Napoli, ma
egli decisamente rifiutò.
Per
tre anni di nuovo a Parigi e poi ritorno a Napoli Nel
decennio trascorso in Italia, in varie località, Tommaso compose
molte opere, fra le quali, oltre quelle già menzionate prima, anche
“De unitate intellectus”; “De Redimine principum” (trattato
politico, rimasto incompiuto); le “Quaestiones disputatae, ‘De
potentia’ e ‘De anima’” e buona parte del suo capolavoro, la
già citata “Summa teologica”, il testo che avrebbe ispirato la
teologia cattolica fino ai nostri tempi. All’inizio del 1269 fu
richiamato di nuovo a Parigi, dove all’Università era ripreso il
contrasto fra i maestri secolari e i maestri degli Ordini mendicanti;
occorreva la presenza di un teologo di valore per sedare gli animi.
A Parigi, Tommaso, oltre che continuare a scrivere le sue opere,
ben cinque, e la continuazione della Summa, dovette confutare con
altri celebri scritti, gli avversari degli Ordini mendicanti da un
lato e dall’altro difendere il proprio aristotelismo nei confronti
dei Francescani, fedeli al neoplatonismo agostiniano, e soprattutto
confutò alcuni errori dottrinari, dall’averroismo, alle tesi
eterodosse di Sigieri di Brabante sull’origine del mondo,
sull’anima umana e sul libero arbitrio. Nel 1272 ritornò in
Italia, a Napoli, facendo sosta a Montecassino, Roccasecca, Molara;
Ceccano; nella capitale organizzò, su richiesta di Carlo I d’Angiò,
un nuovo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, insegnando
per due anni al convento di San Domenico, il cui Studio teologico era
incorporato all’Università. Qui intraprese la stesura della
terza parte della Summa, rimasta interrotta e completata dopo la sua
morte dal fedele collaboratore fra Reginaldo, che utilizzò la
dottrina di altri suoi trattati, trasferendone i dovuti paragrafi.
L’interruzione
radicale del suo scrivere Tommaso
aveva goduto sempre di ottima salute e di un’eccezionale capacità
di lavoro; la sua giornata iniziava al mattino presto, si confessava
a Reginaldo, celebrava la Messa e poi la serviva al suo
collaboratore; il resto della mattinata trascorreva fra le lezioni
agli studenti e segretari e il prosieguo dei suoi studi; altrettanto
faceva nelle ore pomeridiane dopo il pranzo e la preghiera, di notte
continuava a studiare, poi prima dell’alba si recava in chiesa per
pregare, avendo l’accortezza di mettersi a letto un po’ prima
della sveglia per non farsi notare dai confratelli. Ma il 6
dicembre 1273 gli accadde un fatto strano, mentre celebrava la Messa,
qualcosa lo colpì nel profondo del suo essere, perché da quel
giorno la sua vita cambiò ritmo e non volle più scrivere né
dettare altro. Ci furono vari tentativi da parte di padre
Reginaldo, di fargli dire o confidare il motivo di tale svolta; solo
più tardi Tommaso gli disse: “Reginaldo, non posso, perché tutto
quello che ho scritto è come paglia per me, in confronto a ciò che
ora mi è stato rivelato”, aggiungendo: “L’unica cosa che ora
desidero, è che Dio dopo aver posto fine alla mia opera di
scrittore, possa presto porre termine anche alla mia vita”. Anche
il suo fisico risentì di quanto gli era accaduto quel 6 dicembre,
non solo smise di scrivere, ma riusciva solo a pregare e a svolgere
le attività fisiche più elementari.
I
doni mistici La
rivelazione interiore che l’aveva trasformato, era stata preceduta,
secondo quanto narrano i suoi primi biografi, da un mistico colloquio
con Gesù; infatti mentre una notte era in preghiera davanti al
Crocifisso (oggi venerato nell’omonima Cappella, della grandiosa
Basilica di S. Domenico in Napoli), egli si sentì dire “Tommaso,
tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?” e lui rispose:
“Nient’altro che te, Signore”. Ed ecco che quella mattina
di dicembre, Gesù Crocifisso lo assimilò a sé, il “bue muto di
Sicilia” che fino allora aveva sbalordito il mondo con il muggito
della sua intelligenza, si ritrovò come l’ultimo degli uomini, un
servo inutile che aveva trascorso la vita ammucchiando paglia, di
fronte alla sapienza e grandezza di Dio, di cui aveva avuto sentore.
Il suo misticismo, è forse poco conosciuto, abbagliati come si è
dalla grandezza delle sue opere teologiche; celebrava la Messa ogni
giorno, ma era così intensa la sua partecipazione, che un giorno a
Salerno fu visto levitare da terra. Le sue tante visioni hanno
ispirato ai pittori un attributo, è spesso raffigurato nei suoi
ritratti, con una luce raggiata sul petto o sulla spalla.
Sempre
più ammalato; in viaggio per Lione Con
l’intento di staccarsi dall’ambiente del suo convento napoletano,
che gli ricordava continuamente studi e libri, in compagnia di
Reginaldo, si recò a far visita ad una sorella, contessa Teodora di
San Severino; ma il soggiorno fu sconcertante, Tommaso assorto in una
sua interiore estasi, non riuscì quasi a proferire parola, tanto che
la sorella dispiaciuta, pensò che avesse perduto la testa e nei tre
giorni trascorsi al castello, fu circondato da cure affettuose.
Ritornò poi a Napoli, restandovi per qualche settimana ammalato;
durante la malattia, due religiosi videro una grande stella entrare
dalla finestra e posarsi per un attimo sul capo dell’ammalato e poi
scomparire di nuovo, così come era venuta. Intanto nel 1274,
dalla Francia papa Gregorio X, ignaro delle sue condizioni di salute,
lo invitò a partecipare al Concilio di Lione, indetto per promuovere
l’unione fra Roma e l’Oriente; Tommaso volle ancora una volta
obbedire, pur essendo cosciente delle difficoltà per lui di
intraprendere un viaggio così lungo. Partì in gennaio,
accompagnato da un gruppetto di frati domenicani e da Reginaldo, che
sperava sempre in una ripresa del suo maestro; a complicare le cose,
lungo il viaggio ci fu un incidente, scendendo da Teano, Tommaso si
ferì il capo urtando contro un albero rovesciato. Giunti presso
il castello di Maenza, dove viveva la nipote Francesca, la comitiva
si fermò per qualche giorno, per permettere a Tommaso di riprendere
le forze, qui si ammalò nuovamente, perdendo anche l’appetito; si
sa che quando i frati per invogliarlo a mangiare gli chiesero cosa
desiderasse, egli rispose: “le alici”, come quelle che aveva
mangiato anni prima in Francia.
La
sua fine nell’abbazia di Fossanova Tutte
le cure furono inutili, sentendo approssimarsi la fine, Tommaso
chiese di essere portato nella vicina abbazia di Fossanova, dove i
monaci cistercensi l’accolsero con delicata ospitalità; giunto
all’abbazia nel mese di febbraio, restò ammalato per circa un
mese. Prossimo alla fine, tre giorni prima volle ricevere gli
ultimi sacramenti, fece la confessione generale a Reginaldo, e quando
l’abate Teobaldo gli portò la Comunione, attorniato dai monaci e
amici dei dintorni, Tommaso disse alcuni concetti sulla presenza
reale di Gesù nell’Eucaristia, concludendo: “Ho molto scritto ed
insegnato su questo Corpo Sacratissimo e sugli altri sacramenti,
secondo la mia fede in Cristo e nella Santa Romana Chiesa, al cui
giudizio sottopongo tutta la mia dottrina”. Il mattino del 7
marzo 1274, il grande teologo morì, a soli 49 anni; aveva scritto
più di 40 volumi.
Il
suo insegnamento teologico La sua
vita fu interamente dedicata allo studio e all’insegnamento; la sua
produzione fu immensa; due vastissime “Summe”, commenti a quasi
tutte le opere aristoteliche, opere di esegesi biblica, commentari a
Pietro Lombardo, a Boezio e a Dionigi l’Areopagita , 510
“Questiones disputatae”, 12 “Quodlibera”, oltre 40 opuscoli.
Tommaso scriveva per i suoi studenti, perciò il suo linguaggio
era chiaro e convincente, il discorso si svolgeva secondo le esigenze
didattiche, senza lasciare zone d’ombra, concetti non ben definiti
o non precisati. Egli si rifaceva anche nello stile al modello
aristotelico, e rimproverava ai platonici il loro linguaggio troppo
simbolico e metafisico. Ciò nonostante alcune tesi di Tommaso
d’Aquino, così radicalmente innovatrici, fecero scalpore e
suscitarono le più vivaci reazioni da parte dei teologi
contemporanei; s. Alberto Magno intervenne più volte in favore del
suo antico discepolo, nonostante ciò nel 1277 si arrivò alla
condanna da parte del vescovo E. Tempier a Parigi, e a Oxford sotto
la pressione dell’arcivescovo di Canterbury, R. Kilwardby; le
condanne furono ribadite nel 1284 e nel 1286 dal successivo
arcivescovo J. Peckham. L’Ordine Domenicano, si impegnò nella
difesa del suo più grande maestro e nel 1278 dichiarò il “Tomismo”
dottrina ufficiale dell’Ordine. Ma la condanna fu abrogata solo nel
1325, due anni dopo che papa Giovanni XXII ad Avignone, l’aveva
proclamato santo il 18 luglio 1323.
Il
suo culto Nel
1567 s. Tommaso d’Aquino fu proclamato Dottore della Chiesa e il 4
agosto 1880, patrono delle scuole e università cattoliche. La
sua festa liturgica, da secoli fissata al 7 marzo, giorno del suo
decesso, dopo il Concilio Vaticano II, che ha raccomandato di
spostare le feste liturgiche dei santi dal periodo quaresimale e
pasquale, è stata spostata al 28 gennaio, data della traslazione del
1369. Le sue reliquie sono venerate in vari luoghi, a seguito dei
trasferimenti parziali dei suoi resti, inizialmente sepolti nella
chiesa dell’abbazia di Fossanova, presso l’altare maggiore e poi
per alterne vicende e richieste autorevoli, smembrati nel tempo; sono
venerate a Fossanova, nel Duomo della vicina Priverno, nella chiesa
di Saint-Sermain a Tolosa in Francia, portate lì nel 1369 dai
Domenicani, su autorizzazione di papa Urbano V, e poi altre a San
Severino, su richiesta dalla sorella Teodora e da lì trasferite poi
a Salerno; altre reliquie si trovano nell’antico convento dei
Domenicani di Napoli e nel Duomo della città. A chiusura di
questa necessariamente incompleta scheda, si riporta il bellissimo
inno eucaristico, dove san Tommaso profuse tutto il suo amore e la
fede nel mistero dell’Eucaristia.
Autore: Antonio
Borrelli
Crivelli, Tommaso
d'Aquino.
“Pange
lingua” di S. Tommaso d’Aquino (Testo latino)
Pange
língua gloriósi Córporis mystérium, Sanguinísque
pretiósi, Quem in mundi prétium fructus ventris generósi Rex
effúdit géntium.
Nobis datus, nobis natus ex intácta
Vírgine, et in mundo conversátus, sparso verbi sémine,
sui moras incolátus miro cláusit órdine.
In
suprémae nocte cenae recúmbens cum frátribus, observáta
lege plene cibis in legálibus, cibum turbae duodénae se
dat suis mánibus.
Verbum caro panem verum verbo carnem
éfficit: fitque sanguis Christi merum. Et si sensus déficit,
ad firmándum cor sincérum sola fides súfficit.
Tantum
ergo Sacraméntum venerémur cérnui: et antícuum
documéntum novo cedat rítui: praestet fides
suppleméntum sénsuum deféctui.
Genitóri,
Genitóque laus et jubilátio, salus, hónor, virtus
quoque sit et benedíctio: procedénti ad utróque cómpar
sit laudátio.
Amen.
“Pange lingua”
(Traduzione italiana)
Canta, o mia lingua, il mistero del
corpo glorioso e del sangue prezioso che il Re delle nazioni,
frutto benedetto di un grembo generoso, sparse per il
riscatto del mondo.
Si è dato a noi, nascendo per noi da
una Vergine purissima, visse nel mondo spargendo il seme della
sua parola e chiuse in modo mirabile il tempo della sua dimora
quaggiù.
Nella notte dell'ultima Cena, sedendo a mensa
con i suoi fratelli, dopo aver osservato pienamente le
prescrizioni della legge, si diede in cibo agli apostoli con
le proprie mani.
Il Verbo fatto carne cambia con la sua
parola il pane vero nella sua carne e il vino nel suo sangue,
e se i sensi vengono meno, la fede basta per rassicurare un
cuore sincero.
Adoriamo, dunque, prostrati un sì gran
sacramento; l'antica legge ceda alla nuova, e la fede
supplisca al difetto dei nostri sensi.
Gloria e lode,
salute, onore, potenza e benedizione al Padre e al Figlio:
pari lode sia allo Spirito Santo, che procede da entrambi.
Amen.
FINE
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